CONDANNA AI LAVORI FORZATI NELL'IMPERO ROMANO DAI GIULIO-CLAUDI A COSTANTINO Questo articolo prende in esame l'evoluzione delle pene per reati che comportano la fustigazione, l'essere messo in ceppi, i lavori forzati e, in alcuni casi, la mutilazione, tra il I secolo d.C. e la prima metá del IV secolo. L'articolo esplora l'applicazione o l'esenzione da tali pene in rapporto allo stato sociale, come le persone appartenenti alle classi piú alte (honestiores), le persone libere delle classi piú basse e gli schiavi. In particolare, l'articolo si chiede se l'applicazione di pene a persone libere delle classi piú basse dipendesse dalla dimunizione del numero di schiavi, e di conseguenza fosse un tentativo di passare a una forma di sfruttamento delle persone libere condannate. Uno studio dei diversi contesti amministrativi ed economici nei quali venivano scontate le diverse forme di condanna ai lavori forzati, ci porta alia conclusione che le funzioni economiche di quel tipo di condanna erano molto limitate. I lavori forzati erano ritenuti soprattutto una forma di violenza corporale, paragonabile alle percosse, all'incatenamento e alla mutilazione e quindi appropriata per i condannati di bassa estrazione sociale, sia schiavi che liberi.
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